A quattro anni da «Il Santo che vola», il filosofo–trombettista Massimo Donà torna a far parlare di sé con un disco, in mezzo ad innumerevoli libri, che appare forse la sua opera musicale sin qui più articolata e completa ed in cui, come nel lavoro precedente, è molto importante il rapporto fra parole e musica. Lì i testi erano di San Giuseppe da Copertino (il “Santo che vola” appunto, ma anche, in un brano, di Carmelo Bene) ed era sua la voce recitante; qui invece le parole, estratte dai quaderni del filosofo veneto Andrea Emo – che Donà ha il merito di aver portato all’attenzione del mondo filosofico ed a cui ha dedicato in trent’anni molte pubblicazioni – vengono lette con efficacia da David Riondino.
Siamo in presenza di un lavoro avvincente che è soprattutto – come scrive Donà nelle brevi note presenti nel disco – un “viaggio stellare, un’esperienza singolare” cui danno un importante contributo molti talentuosi musicisti, ospiti d’eccezione ma anche nomi meno noti, tutti amici coinvolti dal leader in un progetto che sino al missaggio ed all’editing finali era difficile soltanto immaginare.
Costruito completamente in studio di registrazione, ma sopra la solida base costituita dal trio con cui Donà ha spesso suonato dal vivo negli ultimi anni, completato dai sassofoni di Michele Polga e dalla batteria di Davide Ragazzoni, «Iperboliche distanze» vede il gruppo acquisire un maggiore respiro con gli innesti di Stefano Olivato, Marco Ponchiroli e Maurizio Trionfo, oltre che di Bebo Baldan, e la musica arricchirsi dei preziosi interventi di Paolo Damiani, Claudio Fasoli, Michele Calgaro, Pasquale Mirra, ed in Dabadada del flicorno di Enrico Rava.
Un ultimo consiglio: leggete, mentre ascoltate la musica e le parole di Riondino, le acute riflessioni di Andrea Emo, il cui testo integrale potete trovare all’interno del booklet.